Sant’Agostino

La fondazione del convento risale al VI sec. , quando alcuni eremiti per sfuggire alla persecuzione dei Vandali sbarcarono dall’Africa alla Sicilia. Alcuni si stabilirono a Naro, dove fondarono una Chiesa fuori dall’abitato, nella zona detta “del Romito”.
Dopo l’invasione degli Arabi, nel 1177 fu fabbricato un nuovo convento, dove sorge oggi la Chiesa. Nel 1617 venne amplificato di 10 camere e finestroni arabescati in ferro. Nel 1651 venne ulteriormente ingrandito e abbellito fino al 700. Annessa al convento vi è la Chiesa.
Il progetto si deve all’ingegnere Francesco Querni, frate agostiniano della Toscana.
I lavori furono iniziati nel 1707 con una solenne benedizione della prima pietra. Nel giro di sei anni fu innalzata fin sopra la Porta Maggiore.
Sebbene completata nelle sue strutture, la facciata esterna tuttavia si presentava finita sino al cornicione. Nel 1815 il priore Dalla Sforza fece innalzare la parte del secondo ordine del prospetto dai fabbricieri Giuseppe Scicolone e Rosario Viccica, assistiti dall’architetto Calogero Vinci da Naro. La facciata della chiesa in pietra da taglio a faccia vista è ripartita su due ordini, chiusa in alto da una vistosa cornice con balaustra e statue. Il prospetto nelle sue linee generali si rifà alla facciata di S. Giovanni in Laterano di Roma riprodotta in dimensioni minori. Nell’ordine inferiore troviamo l’ampio portale fiancheggiato da due più modesti pseudo-portali sormontati rispettivamente da altrettanti rosoni. Nel secondo ordine, al centro, si apre, in asse col portale, una grande finestra, sotto un frontone dalle linee curve. Ai lati si trovano due finestre. Infine, in alto, fantasiosi ornamenti e statue coronano l’insieme architettonico. Il prospetto, per la ricchezza degli elementi architettonici espressi con felici rapporti di proporzioni, riesce a produrre mirabili effetti d’imponenza e di armonia, messi in risalto dall’ampia pausa spaziale della piazza antistante. Una grande cupola sostenuta da quattro pilastri quadrati, vivacizza esternamente le rimanenti strutture architettoniche.
Internamente la chiesa è a impianto longitudinale a tre navate con transetto; all’incrocio si apre la cupola su tamburo. Il coro è allungato con abside semicircolare. Le navate laterali sono più basse, a crociera; le pareti sono articolate con cappelle separate da pilastri e lesene.
Ogni navata è separata dall’altra da tre massicci pilastri su cui poggiano le pesanti arcate.
La navata centrale è abbastanza ampia. La chiesa, a pianta a croce latina.
Nella chiesa sono conservate numerose opere d’arte.
Va ricordato un Crocifisso ligneo, pregevole opera del 1535, nel quarto altare della navata sinistra. Un’artistica statua in legno di S. Francesco di Paola è opera di Nicolò Bagnasco. Dietro l’altare maggiore, alla romana, vi è il coro in noce scolpito. Si conserva ancora un magnifico organo costruito da Gaspare Di Franco, agrigentino, nel 1770, commissionato dal priore Lomia. Entrando a destra si trova il monumento funerario di Francesco Alacchi, illustre giureconsulto narese. Infine va ricordata un’acquasantiera di marmo del 1400 e un pulpito in legno artisticamente scolpito.
Assai interessanti sono le numerose pitture che adornano la chiesa. Degna di nota è la presenza di un pittore agrigentino, Michele Narbone, al quale si devono la tela del Transito di San Giuseppe e, probabilmente, la Samaritana al pozzo e La fuga in Egitto.
Il resto delle opere presenti all’interno della chiesa sono opera di Domenico Provenzani che vi lavorò nel 1780. Sue sono le sei pale d’altare raffiguranti S. Agostino, S. Tommaso da Villanova, S. Giovanni da S. Facondo, S. Nicolò da Tolentino, S. Guglielmo e la Madonna della Consolazione.
Provenzani proprio in questa chiesa lasciò il suo capolavoro, il S. Girolamo, conservato nella cappella laterale della sagrestia. Esso rappresenta il più forte lavoro del Provenzani, per quanto riguarda la correttezza del disegno, l’anatomia della figura, l’armonia dei colori ed in special modo il sapiente gioco di luci ed ombre. Venerando, dalla chioma fluente e barba bianca, S. Girolamo avvolto in un manto che lascia intravedere il dorso, posa lo sguardo sul teschio che tiene nella mano destra, mentre un libro sta aperto sul tavolo a lui dinanzi.
Nel portale della sagrestia di S. Agostino si rileva ancora il sottile risalto di una ghiera sull’altra, conservando l’unità di massa della superficie murale come nelle costruzioni arabo-normanne.
Anche qui, attraverso l’ornato di gusto calligrafico, con zig-zag paralleli o sfalsati entro i quali si inseriscono formelle di arido fogliame, si rivela la predilezione per la minuta e ritmata vibrazione chiaroscurale delle superfici arabescate.
Singolare, infine, è l’architrave, che unisce da una parte all’altra le basi dell’arco lavorato con fogliame, o meglio dalle tre alte fiamme, simbolo dello stemma della città, dove è espresso un gusto per la minuta ornamentazione quasi da ricamo, molto vicino a modi calligrafici di discendenza orientale.
Il ritmo dell’intero svolgimento è suggerito dalle tre cime scolpite nelle basi sulle quali poggiano le tre colonnine di ordine corinzio portanti l’arco a sesto acuto.
Un’artistica porta in noce, capolavoro di finezza e di perizia degli scultori del legno del ‘700, con incisi, nei pannelli, episodi della vita di S. Agostino chiude il portale fondendo due stili, due epoche, con perfetta armonia.
Nello stesso ambiente è da rilevare il sarcofago del notaio Lorenzo Favara (1604-1692) con il busto e lo stemma del medesimo e una ingegnosa iscrizione di gusto barocco preparata dallo stesso notaio, mentre era in vita.
Nella sagrestia, che risale al 1713, inoltre, si conservano numerose opere d’arte fra le quali un artistico armadio intagliato del settecento ed un fine lavabo in marmo policromo con influssi neoclassici.
Si conservano inoltre alcuni ritratti di priori del convento dovuti al Provenzani: P. Giuseppe Lombardo, P. Giuseppe Arena, P. Gaspare Bevilacqua, P. Agostino Priolo, P. Felice Lucchesi, P. Giuseppe Rossi, P. Giacomo Giacchetti, P. Luigi La Grua e Mons. Nicolò Palmeri.


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