Museo Civico

Il Museo Civico della città di Naro nasce nel 2017 su impulso dell’Associazione Indàra che, nel 2016 collaborando con la Soprintendenza di Agrigento, fece redigere lo statuto successivamente approvato dal consiglio comunale. Pensato per essere suddiviso in diverse sezioni museali, il museo nacque inglobando la mostra permanente di opere di grafica presente a Naro fin dal 2000 e voluta fortemente dal Maestro Bruno Caruso, dall’allora sindaco Dr. Giuseppe Morello e dal Prof. Giuseppe Camilleri. Il museo è diretto da un direttore tecnico e da un direttore scientifico.
La sezione grafica del museo è ospitata nell’edificio dell’ex Ospedale di San Rocco. Esso fu fondato nel secolo XVI dalla famiglia dei Signori di Giacchetto, che ne aveva lo « ius patronato ».
Istituito per il ricovero degli infermi poveri della città, era famoso sia per l’edificio, sia per la ricchezza del giardino e soprattutto per i molti medici e chirurghi. Era retto da quattro rettori laici, che a loro volta eleggevano il cappellano, che provvedeva alla cura della chiesa e all’assistenza spirituale degli infermi.
Era sede di un’arciconfraternita di artigiani e gentiluomini, che aveva lo scopo di seppellire i defunti poveri, una delle sette opere di misericordia. Vi era altresì una congregazione di artigiani e sacerdoti sotto il titolo di Maria SS. degli Agonizzanti. Aveva l’obbligo di esporre il SS. Sacramento per 40 ore in occasione di condanne capitali.
La congregazione era aggregata a quella degli Agonizzanti e del Santo Bambino della città di Roma con bolla che esisteva nella chiesa di San Rocco.
La sezione grafica del museo consta di una donazione di oltre 244 opere provenienti per la maggior parte dallo stesso Maestro Bruno Caruso, (di cui 24 dello stesso Maestro), che costituisce il nucleo originale della prestigiosa raccolta, sia dalle successive acquisizioni di donazioni di altri insigni artisti, galleristi e collezionisti.
Le opere catalogate risultano così rappresentate: 121 acqueforti, 7 punte secche, 10 acquetinte, 85 litografie, 8 serigrafie, 4 xilografie.
A queste opere si aggiungono 9 tavole originali di incisori dal 600 all’800: Ulisse Aldovrandi (4), Rembrandt (1), Bartolomeo Pinelli (1), Hondius (1), Goya (1), Dorè (1), che rendono il museo ancora più interessante.
L’acquaforte è la prima tecnica indiretta in cavo ed è la più usata come mezzo espressivo dagli artisti antichi e moderni. L ‘origine dell’acquaforte risale al medioevo, periodo in cui si usava l’acido nitrico (in Latino aqua-fortis, definizione medioevale degli antichi alchimisti) per incidere fregi e decorazioni su armi e armature. Successivamente il nome e la tecnica vennero adottati dagli artisti incisori: questo passaggio risale al periodo tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo. Si opera con questa successione: la piastra viene levigata e pulita. Viene ricoperta da uno strato di cera a caldo in maniera uniforme e poi viene annerita. L’incisione viene fatta con uno strumento a punta fine. Si immerge la lastra nell’acido nitrico, il mordente penetra nei segni dove la cera è stata asportata corrodendo il metallo.
Si dice puntasecca quella tecnica (indiretta in cavo) ove si incide direttamente il metallo, senza servirsi di acidi. Lo strumento utilizzato è in prevalenza una punta affilata di acciaio o una punta di diamante. Con una diversa pressione esercitata sulla punta si determina la variazione di profondità e quindi di larghezza del solco, che poi stampato, darà un segno più o meno intenso, dando così un forte effetto di chiaroscuro.
Esercitando una pressione sulla lastra per tracciare i segni, la punta penetra nel metallo, spostando sui lati del solco sottili lamine, dette “barbe”, che nella fase di stampa trattengono l’inchiostro, dando come risultato un segno vellutato e pastoso, caratteristica peculiare di questa tecnica.
Queste barbe vengono staccate o schiacciate durante la pulitura della lastra o sotto la pressione del torchio, per cui il segno diminuisce di forza dopo la stampa di pochi esemplari.
L’acquatinta è una incisione indiretta e può essere considerata una variante tecnica dell’acquaforte poiché le corrosioni avvengono con l’aiuto di un acido.
Il procedimento è identico a quello descritto per l’acquaforte, ma con effetti simili all’acquerello, ottenuti con una lastra granulata. La granulazione si effettua facendo cadere sopra la lastra calda granelli di bitume, che fondono attaccandosi alla lastra e formano un fondo più o meno denso.
L’acquatinta è una tecnica di carattere tonale: anziché formare l’immagine attraverso una serie organizzata di segni, realizza aree di intensità e forma controllata. Per fare ciò si interviene sulla matrice con uno speciale trattamento che riesce a corrodere la superficie della lastra determinando rugosità che trattengono l’inchiostro di stampa; tale rugosità viene detta granitura. L’acquatinta si realizza ricoprendo la lastra con uno strato, più o meno fitto a seconda della composizione che si vuole ottenere, di grani di colofonia (pece greca) o con grani di asfalto macinato (granitura). Questi vengono, mediante calore, fatti fondere in modo che aderiscano al metallo. Sulla lastra così preparata, l’acido penetra negli interstizi tra i vari granelli corrodendo il metallo in modo del tutto particolare e rendendone “spugnosa” la superficie.
Con tale sistema si ottengono, in fase di stampa, effetti vellutati e una serie di toni sfumati.
La xilografia è un’ incisione in rilievo. La matrice è una tavola in legno. Il legno è detto di “filo” se la tavola è tagliata longitudinalmente rispetto al tronco oppure di “testa” se tagliata trasversalmente. La prima, più morbida, è meno precisa ai segni mentre le matrici di legno di testa possono essere incise con linee molto sottili e ravvicinate producendo quindi disegni assai ricchi e dettagliati.
Il disegno sulla tavola è realizzato in rilievo. Le parti scavate con un particolare strumento detto sgorbia risulteranno alla stampa bianche mentre quelle in rilievo risulteranno nere.
La litografia (stampa in piano) dal greco litos cioè pietra. Non è inciso, ma trattato sulla pietra calcarea con una matita con la punta impregnata di cera. La pietra viene lavata e leggermente morsa in una soluzione molto diluita di acido. L’acido fissa sulla pietra il grasso della matita e la parte non disegnata viene corrosa. La piastra viene impregnata d’acqua e inchiostrata. Ad ogni tiratura e il disegno può essere modificato.
La serigrafia o stampa serigrafica è una tecnica di stampa di tipo permeografico che utilizza oggi come matrice un tessuto di poliestere teso su un riquadro in legno o metallo definito come quadro serigrafico o telaio serigrafico. Il tessuto utilizzato è definito anche tessuto per serigrafia o tessuto serigrafico.
Il termine “serigrafia” deriva dal latino “seri” seta e dal greco gràphein, scrivere, dato che i primi tessuti che fungevano da tessuto per serigrafia erano di seta.
La permeografia si basa su un processo di impermeabilizzazione di ben delimitate aree del tessuto di stampa in modo da consentire ad un inchiostro posto sopra tale tessuto di permeare attraverso il tessuto lasciato libero e passare sulla superficie posta sotto il quadro serigrafico. Il passaggio o permeazione dell’inchiostro dalla parte superiore del quadro serigrafico alla superficie di stampa posta sotto, attraverso il tessuto serigrafico avviene tramite un passaggio con una leggera pressione di una barra dotata di un bordo in elastomero poliuretanico che si appoggia sull’inchiostro e preme quest’ultimo attraverso il tessuto da stampa tramite un movimento di scorrimento. Questa barra viene definita spremitore o racla per serigrafia.
Questa azione di stampa può venire ripetuta in modo ciclico a mano o tramite apposite macchine da stampa serigrafiche raggiungendo una elevata velocità di produzione in grado di soddisfare a seconda delle attrezzature disponibili l’industria o l’artigiano.


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